mercoledì 15 luglio 2015

Resta dove sei e poi vai



 Resta dove sei e poi vai



Il libro di cui vi parlerò è senza dubbio straordinario, occorre dirlo subito.
E fin da subito vi darò alcune motivazioni:
  1. È stato pubblicato per la prima volta nel 2013: l’anniversario dell’inizio della prima guerra mondiale non era ancora stato celebrato né la sua commemorazione era ancora l’obiettivo primario dell’editoria mondiale.
  2. Il titolo “Resta dove sei e poi vai” è impegnativo: non te lo scordi mica facilmente, una volta imparato. Un titolo che è una frase, una frase che è a metà strada tra il consiglio e l’ordine: <<Resta dove sei, e poi vai!>>, bisbigliato (o urlato) dal sergente al suo sottoposto, una mano sulla spalla come se il contatto fisico agevolasse per osmosi il passaggio delle parole nella testa del soldato. Il monito è fondamentale per ogni soldato che, nella Prima Guerra mondiale, volesse aver la speranza di tornare vivo a casa .
  3. Perché è un libro di guerra, ma elegante come una farfalla sui campi d’estate. Boyne ci fa svolazzare letteralmente, leggiadri e leggeri, raccontandoci della guerra… e senza che venga mai sparato un colpo (eppure, gli spari ci sono!)
  4. Forse il più importante per i lettori teens: avete visto American Sniper? Conoscete la storia narrata nel film? Bene, se leggerete questo libro, il film vi piacerà ancora di più. Perché nel film americano ciò che colpisce il pubblico giovane è senz’altro l’abilità del cecchino e l’assurdità della sua morte. Ma non si approfondisce l’uomo: un uomo, un adulto, è anche la famiglia che riesce a costruirsi. In American Sniper questa appare poco. Per questo dovete leggere il libro.

Ora che sapete perché dovete leggere questo agile volume di poco meno di 250 pagine, che si leggono velocissime, vorrete sapere cosa troverete dentro tanta carta.
Una storia, certamente. Di guerra, la Prima Guerra Mondiale.
Troverete una giovane coppia di sposi, con un figlio piccolo; una via di Londra, una via di periferia, casette tutte uguali, gente che si conosce da una vita e che partecipa la guerra, ognuno con le proprie idee ed i propri valori.
Troverete una città, Londra, che non è la Londra cui tutti oggi anelano, ma una Londra contratta, impegnata ad affrontare le esigenze che la guerra crea.
Ma soprattutto troverete Alfredo Campodestate o, seguendo il testo, Alfie Summerfield (nome quanto mai evocativo, tanto solare quanto sono tetre le circostanze in cui il protagonista si muove). Che, in tutto il libro, fa due cose, meravigliose.
Per capirle bisogna conoscere un po’ la vicenda.
Dunque, il padre di Alfie, Georgie, fa il lattaio: raccoglie il latte dalle fattorie della contea e lo porta alle varie case della città. Allo scoppio della guerra, Georgie parte volontario, sperando così di tornare prima a casa. Parte quando Alfie ha appena compiuto 5 anni. Margie, la madre di Alfie, ottiene un posto da infermiera in città, anche se deve spesso fare doppi turni per guadagnare abbastanza per lei ed il figlio. Per un paio di anni giungono le lettere di Georgie a casa, poi più nulla, ma Alfie e Margie sanno che Georgie è vivo perché non appare mai negli elenchi dei dispersi o dei caduti.
In questa situazione Alfie prende in mano la sua vita e inizia a lavorare come lustrascarpe. Decide da solo, si guarda in giro, capisce poco della guerra ma l’amore che prova per la madre lo fa reagire e decide di rimboccarsi le maniche, anche se ha solo nove anni, anche se gli tocca spostarsi molto da casa per trovare la zona giusta e guadagnare così qualche spicciolo in più. A nove anni. E, cosa ancora più extra-ordinaria, non abbandona la scuola, anzi: solo quando l’attività sarà ben avviata deciderà di sacrificare qualche mattina a scuola per incrementare i guadagni.
Proprio mentre lustra le scarpe di un medico dell’esercito, una provvidenziale folata di vento permette ad Alfie di scoprire che suo padre è vivo, non è al fronte, ma si trova in un ospedale militare poco lontano da Londra. A questo punto Alfie decide che porterà a casa suo padre.
A voi, lettori, lascio scoprire  se e come ci riuscirà.

Qui posso solo dirvi cos’altro troverete nel libro.
Ebbene, troverete i sentimenti, quei fili a volte tesi a volte allentati che avvincono le persone, le une alle altre.
Troverete Joe Patience, che decide – anche lui decide, come Alfie – di non partecipare alla guerra e che pagherà nella sua pelle e nelle sue ossa tale scelta.
Troverete la famiglia Janáček,  che subirà due volte il razzismo: quello “preventivo” dell’esercito britannico, sempre a caccia di spie degli Imperi Centrali; quello “di circostanza” dei londinesi, e di tutti i popoli che nei momenti difficili semplificano troppo la realtà delle cose.
E troverete un ospedale militare, l’ospedale di East Suffolk & Ipswich, nel quale è ricoverato Georgie, British Sniper per certi versi della Prima Guerra Mondiale.

E per i lettori che leggono proprio tutto di un libro, un ultima sorpresa, musicale: ogni capitolo ha un titolo in inglese, che richiama alcune canzoni popolari del primo conflitto mondiale; con tali canzoni è stato composto un musical, dall’irriverente titolo “Oh, What a Lovely War!” (Che guerra adorabile!). Vale la pena cercare i testi sul web e confrontarli con quelli italiani dello stesso periodo: si otterranno i ritratti di due popoli assai differenti per cultura, storia e  per i modi con cui affrontano il conflitto; e proprio prendendo il conflitto a denominatore comune si riconoscerà che, quelli che sembrano semplici avversari, sono in realtà, semplici uomini.


Per saperne di più:

un video crudo, ma semplice, che ci spiega cosa sia il disturbo post-traumatico da stress e come erano considerati i soldati del primo conflitto mondiale reduci

un video in americano, molto accattivante, su quello che è il disturbo oggi

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